Piazza Gerolomini, 103 - Napoli - 80138 - Italia
+39 328 80 27 913 / +39 081 45 62 57
propulcinella.comitato@gmail.com

Tra rifiuto e obsolescenza

Comitato Pro Pulcinella

Eduardo de Filippo: il servo inservibile

Eduardo de Filippo  si colloca all’inizio di questa storia, quando, nel corso degli anni cinquanta,  da più parti si parlò della morte di Pulcinella come di un fatto imminente o già avvenuto. De Filippo in più occasioni aveva scritto, riscritto, trascritto, rappresentato e fatto rappresentare parecchie pulcinellate, e qualche volta aveva indossato la mezza maschera, il coppolone e la camicia bianca, poi non si era più occupato della maschera, se non in una commedia, Il figlio di Pulcinella (1958), che sembra avere il significato una presa d’ atto della morte oggettiva della maschera, ma è piuttosto un auspicio che questa morte possa avvenire.

Questa la trama: Il vecchio Pulcinella, solo e malandato, aspetta ormai la fine, seduto sul balcone del suo padrone, il barone Vofà-Vofà, e dialoga con una lucertola, Catarinella. Il barone si ricorda di lui solo per farsi aiutare a raccogliere consensi nella campagna elettorale; anche altri candidati cercano di servirsene allo stesso scopo. Intanto ritorna dall’America il figlio segreto di Pulcinella, John, nato durante la guerra e ceduto ad un americano. Anche lui ha la maschera come il padre, ma, con un gesto di ribellione, decide di togliersela. Il vecchio padre adesso muore sereno, poiché è nato il nuovo Pulcinella.

In alcune parti quest’ opera sembra un ritorno in grande stile della pulcinellata classica, soprattutto nella versione di Altavilla, con le sue trovate e le sue follie comportamentali e verbali (“quello che sto per sprofferire è la sprofferizzazione che sprofferisce nella qualità per la quale si qualificò qualificandosi nelle qualità qualificate per secula seculorum” ecc.); ma, nonostante questo, Pulcinella è sottoposto a una analisi impietosa: egli è, per de Filippo, il “servo inservibile” napoletano, che per resistere all’ oppressione dei suoi padroni di sempre ha dovuto “portare la maschera”, che è rimasta perciò l’ emblema del servilismo e della simulazione; e suo figlio John, l’ uomo nuovo tornato dall’ America, rifiuta il mascheramento che aveva fatto ridere e divertire  i napoletani per tre secoli, perché vuole mostrare il volto della sincerità e della verità. Una condanna ideologica, che ha pesato per decenni sulla storia di Pulcinella.

De Filippo cercò successivamente di eliminare la contraddizione tra il suo interesse per la tradizione della pulcinellata, sentita come  una sorta di sintesi del teatro comico napoletano, una macchina per divertire (di cui fece abbondantemente uso), dalle irrinunciabili trovate linguistiche e sceniche, oltre che il serbatoio di un sapere e di una sapienza immemorabilmente partenopee, e il rifiuto di una visione del mondo non gradita a buona parte dell’ intellighenzia progressista, inventandosi un Pulcinella liberal-nazionale, che interpretò nel film Ferdinando I re di Napoli (1959).

Ben altro sapore di verità si ritrova nel dipinto L’ ultimo Pulcinella (1972) di Paolo Ricci, scenografo di Viviani e dello stesso de Filippo, che nella vecchiaia stanca e rassegnata di Salvatore De Muto, il più grande degli ultimi interpreti del Cetrulo, volle vedere “la fine di un mondo, come spettacolo e gioia di esistere” (K.F.).

Anche Rea sogna la morte di Pulcinella

All’antipulcinellismo dell’ideologia progressista non seppero sottrarsi molti intellettuali, napoletani e non, che non persero l’occasione per  riproporre i consueti luoghi comuni sulla degenerazione della società napoletana, che ritenevano prodotta  dalla cultura rappresentata da figure come Pulcinella. Lo scrittore Domenico Rea, in altri momenti conoscitore e interprete finissimo di tratti importanti della maschera,  in alcune occasioni espresse negli stessi termini della cultura dominante il suo compiacimento per la presunta scomparsa del Cetrulo dalla scena e dalla vita napoletana: Pulcinella è “miseramente naufragato nel liquame di cui si è ricoperta la nostra civiltà e i molteplici tentativi di resuscitarlo sono falliti. Le nuove generazioni lo ignorano”. Ancora una volta gli intellettuali meridionali guardano Pulcinella pensando alla plebe di Napoli, che l’ideologia, residualmente operante negli anni settanta, caricava delle connotazioni negative che ostacolerebbero la rigenerazione della città.

Pulcinella è morto a Gaeta?

La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta (1975) è uno splendido affresco di  Domenico Purificato che rappresenta Pulcinella ferito a  morte e morente nella Gaeta assediata e bombardata dall’ esercito piemontese, assistito da altri Pulcinelli e dai rappresentanti della città. Per sua esplicita ammissione, Purificato fu influenzato nella scelta del soggetto da La conquista del Sud  di Alianello, che gli ha consentito di conoscere e focalizzare  il momento in cui a Gaeta bombardata dai piemontesi in tempo di Carnevale i napoletani indossano le maschere e affrontano il nemico. I soliti ideologi spiegarono che “quando si sentì giungere l’ ora suprema, i notabili e la popolazione di Gaeta si vestirono in maschera e affrontarono la fine di un’ epoca nei panni assurdi della tradizione napoletana. Maschere, non più uomini, quelli che subivano il varco dei tempi nuovi, testimoni patetici del passato, ancora timorosi, impauriti, incapaci dei tempi nuovi” (R. De Grada). In realtà, Purificato  ha cercato di restituire la complessità  storica e il significato profondo di un evento  singolarissimo, che faceva dei guerrieri con la maschera carnevalesca e dell’ uccisione di Pulcinella un evento emblematico che si prestava a rappresentare più cose: la fine del Reame, la decadenza di una grande città, il tramonto di una civiltà emblematicamente riassunta nella maschera del Cetrulo. Nella visione dello stesso autore i napoletani, combattendo e morendo mascherati da Pulcinella, spendevano nella difesa della città “gli ultimi spiccioli di un loro spirito fatalista e burlesco” (D.Purificato).

Il declino della maschera negli anni Cinquanta del Novecento era un’altra storia. Era solo in parte un dato oggettivo, prodotto dalla parziale e momentanea disaffezione fisiologiche della gente nel secondo dopoguerra, ma in larga misura era il desiderio (e in parte il prodotto) di non pochi intellettuali, e della loro ideologia politica.

Ma gli stranieri pensano diversamente: Peter Gun

Proprio negli anni in cui si pensavano e scrivevano queste cose, soggiornava a Napoli, per una esperienza libera di vita e di scrittura, l’ inglese Peter Gunn, che fu della città, cui dedicò uno dei migliori libri che essa abbia meritato (Napoli un palinsesto,1961), tradotto con molto ritardo (1989), “un osservatore formidabile”, oltre che “un uomo inebriato dalla realtà della vita” (Harold Acton).

La vita di cui Gun era innamorato era la vita di Napoli, e Pulcinella è il personaggio che incarna la complessità e il mistero del questo universo riccamente stratificato di culture, che fa pensare a un “palinsesto”: “Pulcinella è il personaggio in cui il napoletano si rispecchia, una meravigliosa creatura terrestre, il cui fascino risiede in parte nel fatto che la sua immoralità è così potente, che non si riesce a capire se per caso non abbia origine da sorgenti più profonde di quel che ordinariamente si intende per saggezza o stupidità, virtù o vizio”. Eliminando le incrostazioni politiche e ideologiche, che i napoletani stessi addossavano alla loro maschera, diventava meno difficile  cogliere la complessità di Pulcinella,  comprese le sue contraddizioni e la sua ambiguità, alla luce di un pensiero estraneo e diverso, la cui filosofia era quella di fondere “le viventi antitesi del Bene e del Male, così evidenti in tanti aspetti della vita napoletana”.      

Il Cetrulo è la sintesi della cultura napoletana, quella luminosa e l’altra oscura: “l’ immagine più potente dei napoletani è Pulcinella; come lui, sembra che essi vengano messi in azione da molle invisibili. In nessun altro posto si sente ridere tanto come tra la gente comune; solo i borghesi appaiono introversi dietro l’ impassibilità della loro flaccida maschera”. Gun è stato una guida per alcuni intellettuali, per i quali l’ impatto con Napoli e l’ immersione nella sua grande tradizione e nella sua vita di città di confine “ha funzionato da iniziazione culturale o meglio anti-intellettuale” (A. Abruzzese).