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PULCINELLA AVATAR

Comitato Pro Pulcinella

Testo base di DOMENICO SCAFOGLIO

Collaborazione multimediale di VASILY GREBENKIN
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Collaborazioni e sigle: 

A.R. – Anna Russo

A.M.M. – Anna Maria Musilli

V.G. – Vasily Grebenkin (traduzioni)

S.D.L. – Simona De Luna

A.G. – Adriana Gandolfi

A.L. – Antonietta La Penna

M.N. – Marco Noviello

INTRODUZIONE

Nel titolo delle riflessioni che seguono, “Avatar” può essere tradotto  con “trasformato”, con riferimento ai mutamenti che hanno segnato la maschera napoletana dal secondo dopoguerra ad oggi; ma la trasformazione è, in generale, ma soprattutto nel nostro caso specifico, un modo di rinascere, di ricominciare, sicché la locuzione nel suo insieme potrebbe suonare come “rinascita e metamorfosi di Pulcinella”, per anticipare e sintetizzare laconicamente il significato ultimo di tutto il discorso che andremo costruendo.

E’ fuori discussione che la maschera di Pulcinella abbia vissuto una fase critica sul finire degli anni Quaranta del secolo passato, in cui da più parti si prese atto, a volte con dispiacere, altre volte con compiacimento, dell’inizio di quella che si vaticinava fosse la sua definitiva estinzione. Una minaccia di estinzione realmente ci fu, ma si trattò di un percorso naturale, nato dalle difficoltà di una società alle prese con le ferite lasciate dalla guerra, con i problemi del dopoguerra e poi con gli assilli della  ricostruzione; ma quella minaccia fu anche ingigantita da quanti alla maschera erano avversi per motivi etico-politici, eredi di quella parte di Napoli e del napoletano che da oltre un secolo e mezzo la osteggiavano, come residuo anacronistico di un sistema simbolico di tempi di servitù e di oppressione. Si trattava di un’ ingenuità, che sacrificava all’ideologia, in una indistinta confusione, la normale ed ovvia differenza, che è anche rapporto dialettico, tra la realtà e l’immaginario, la morale pubblica e l’amoralità del buffone, tra la saggezza del popolo e la follia del suo trickster.

Contribuirono al momentaneo declino della Maschera l’ aspirazione dei comici napoletani a diventare figure nazionali, peraltro  non diversamente dagli altri comici italiani provenienti da esperienze regionali, e ad esse in vario modo legati dai tratti etnici dei loro linguaggi verbali e corporei, dalle loro pratiche espressive e dalle loro grammatiche culturali. Questa aspirazione, riuscita vincente, suggeriva di rinunciare alla maschera, per il timore che potesse segnare troppo marcatamente una appartenenza locale, dopo avere assorbito le sue potenzialità, e di riplasmare  anche la maschera linguistica rinunciando, almeno in parte o in superficie, al dialetto e rimodulandolo sull’ italiano regionale o nazionale. Edoardo de Filippo, Viviani e gli stessi Totò e Troise, sono, di fatto, dei Pulcinelli senza maschera, camicione e coppolone, e tutti sono indissociabili dalla storia teatrale e umana della regione, in cui i Pulcinelli di ogni tempo hanno celebrato i loro trionfi.

Tutto questo convergeva, e a volte si confondeva,  con l’influenza dell’ ideologia progressista del tempo, che, all’ insegna della poetica dell’ impegno, implicava, come abbiamo anticipato, un atteggiamento di indifferenza o di moralistica condanna verso ciò che potesse sapere di retrivo e di angustamente localistico e plebeo: situazione ideale per una ripresa dei vecchi pregiudizi sulla Maschera, che, come nell’ Italia postunitaria,  ricevevano nel secondo dopoguerra una conferma che era anche politicamente legittimata. 

Psicoanalisti e antropologi hanno dimostrato che nella fase di obsolescenza, apparenti a reali, i fatti culturali, le credenze e  le rappresentazioni non scompaiono del tutto, ma entrano in uno stato di latenza, lasciando tracce  che per la psicoanalisi prendono la forma di “sintomi nevrotici”, e per gli antropologi e filosofi sono il passato che rimane “incapsulato” nel presente: queste tracce producono nuove forme, non meno rigogliose delle precedenti: “l’ antico albero del pensiero e delle pratiche popolari non vive solo nei rami superstiti, sui quali germogli rinsecchiti si alternano a gemme fresche, ma anche nei getti nuovi e rigogliosi che nascono direttamente dall’ antico tronco” (A.R. Wright). E’ la migliore premessa teorica per la comprensione della maschera del Pulcinella contemporaneo.

Certo è che i decenni successivi al suo temuto declino registrano una sorprendente ripresa della Maschera, prodotta dalla convergenza di condizioni favorevoli, che sono illustrate in questo testo. La crisi delle facili illusioni progressiste, insieme al superamento delle barriere neorealiste, hanno creato le condizioni per una lettura  più libera dai condizionamenti sociologici di ispirazione politica, col risultato di contribuire a rimuovere dalle consapevolezze e dalle paure dei napoletani l’ identificazione residuale della Maschera con la plebe immaginata corrotta e/o con la parte peggiore della cultura.

Nei primi lustri dell’ ultimo sessantennio protagonista  nell’ immaginario collettivo, soprattutto per merito degli scrittori e degli artisti, è ancora il Pulcinella popolare, al quale si restituisce la sua visione positiva della vita, con la sua leggerezza gioiosa e il suo  sano vitalismo, che avevano affascinato Goethe e altri viaggiatori germanici, ma nello stesso tempo si tende a superare il lazzarismo di maniera codificato dai tedeschi e introiettato dagli stessi napoletani, per riconoscergli  serietà e profondità. Gli artisti sottraggono la Maschera alle sue connotazioni realistiche a sociologiche, liberando significati inediti e potenzialità inespresse, e riproponendo un Pulcinella raffinato, in cui potesse riconoscersi una Napoli che aspirava a riproporsi come modello di cultura e di civiltà. Le loro visioni influenzarono in qualche modo la vita concreta della Maschera sulla scena, nella produzione artigianale, molto apprezzata dai ceti borghesi, e nelle nuove forme della cultura di massa più transitate dai ceti giovanili.

 A una più complessa ricezione della maschera, con importanti ricadute nel mondo teatrale della pulcinellata, ha contribuito la grande saggistica, nata o “ritornata” negli stessi anni. Nelle rilettura delle pagine fondamentali di Benedetto Croce la napoletaneità di Pulcinella è stata  al tempo stesso confermata e superata in una visione universalistica, sia pure di stampo umanistico; si è riconosciuto il suo carattere “plebeo”, in un disegno complessivamente transclassista della sua immagine. Insomma sono state razionalizzate e assorbite le contraddizioni tradizionali della Maschera in un quadro unitario,  non compromesso dal rigore di una serie di “distinguo” (tra l’ estetico e l’ extraestetico, l’ artistico e il sociologico).

Su un altro versante gli studi di demologia hanno lavorato sulle sostruzioni culturali ed etniche della Maschera. Il demoantropologo Toschi, infrangendo il confine che da quattro secoli la serrava nei limiti angusti dei generi teatrali, l’ ha collocata nell’ universo magico dei riti carnevaleschi e funerari,  facendo emergere da questa inconsueta dislocazione il rapporto tra la comicità e la morte, destinato quasi contemporaneamente ad approfondimenti decisivi negli studi antropologici e nelle pratiche teatrali.

Il nuovo Pulcinella, se non è una creazione degli intellettuali, deve ad essi almeno in parte il rinnovamento della sua immagine con temporanea, specie per essere stato indagato Pulcinella sul terreno da folkloristi e antropologi, ai quali gli psicoanalisti offrono strumenti ed idee – spesso tradotti in una troppo semplice vulgata – per indagare gli abissi celati dalla sua risata zannesca.

La politica culturale prevalente degli ultimi decenni, a partire soprattutto dagli anni Ottanta, è stata ispirata dalla tendenza (presente, e abilmente gestita soprattutto nelle grandi manifestazioni degli anni 1989-1982 a riproporre sulle scene cittadine  e avvalorare i generi e i livelli “nobili” della maschera, puntando su Pulcinella della grande arte europea, dell’ Opera, del balletto, della tradizione colta della pulcinellata, della saggistica filosofica in della cinematografia d’ arte. Questa scelta ha avuto l’ effetto di  guadagnare alla simpatia per la Maschera e al teatro di Pulcinella i ceti borghesi, neutralizzando l’ ostilità storica di una parte di essi che residualmente li accusava di guazzare irresponsabilmente nell’ arretratezza e nella decadenza di Napoli. In questo modo più o meno consapevolmente si viene a ricomporre in forme nuove e moderne l’ unità culturale della città intorno a un importante simbolo cittadino, al quale non a caso ora come mai si riconosce il ruolo dell’ eroe comico  nazionale. Si dimostra in altri termini che le due città, in cui si considerava culturalmente e socialmente scissa Napoli (quella della plebe immaginata reazionaria e quella delle élite progressiste), possono diventare una sola e le due culture possono ricomporsi in una comune cultura, come era auspicato nel sogno dei patrioti repubblicani del 1799 e auspicato in particolare di Eleonora Fonseca Pimentel.

La recente cultura del patrimonio agevola  questo processo. Il rasserenamento dei ceti ostili a Pulcinella e alla cultura che la Maschera rappresenta è anche il risultato del fatto che essa, liberata dalle connotazioni sociologiche e politiche, ha acquisito il riconoscimento di essere parte del patrimonio della città, dotato di risorse e potenzialità, guadagnando l’ “innocenza” necessaria per la sua elezione a simbolo della napoletanità.   

Si tratta al tempo stesso di ricostruire, nello spirito dei tempi nuovi, l’ antica intimità col potere, che il teatro di Pulcinella aveva saputo sollecitare e conservare per decenni con la monarchia e l’ aristocrazia. Ora lo stesso  campo progressista supera la propria spocchia giacobina a favore di un atteggiamento di simpatia antropologica verso il mondo popolare e Pulcinella. Al tempo stesso teatranti, artisti, scrittori costruiscono legami organici col potere politico e con le istituzioni civiche, ricorrendo alle cifre del “teatro della città”, forti anche dell’ importante riconoscimento di Mitterand al teatro di Polichinelle-Pulcinella, esemplato dalla sua visita al grande raduno delle maschere a Saintes.  Il Comune di Napoli garantisce l’adesione e l’ aiuto soprattutto al Teatro di figura, insieme all’ Azienda per il Turismo. L’ Università di Napoli, centoventi anni dopo la condanna di Pulcinella nel processo intentato all’ Università di Napoli da De Sanctis e dai suoi allievi, prende posizione in favore della Maschera, collaborando in maniera decisiva all’ organizzazione dei maggiori eventi del periodo della “Grande Stagione” degli anni 1989-91.

 Grazie anche a queste scelte, cresce l’ attenzione alla Maschera in settori che l’ hanno tradizionalmente ignorata, nascono nuovi usi, prima inimmaginabili (per esempio, mentre persistono le sue vecchie pratiche  magico-apotropaiche, si sperimenta la funzione catartica delle sue performances teatrali a scopo terapeutico, negli ospedali e in qualche clinica universitaria), la presenza di Pulcinella si espande nella vita cittadina, guadagna nuovi spazi, entra nelle scuole cercando di integrarsi con l’ insegnamento, e  perfino nell’ Università, all’ interno dei programmi di studio e di ricerca delle tradizioni popolari e di valorizzazione dei patrimoni. Dentro questo mutamento di orizzonti, le nuove generazioni di artigiani – ricorro a un altro esempio –  sperimentano la possibilità di un salto qualitativo e di una espansione rapida del mercato dell’ artigianato artistico, puntando sulle innovazioni stilistiche e sulle immagini, molto ricercate dai turisti, dei miti fondativi della città di Napoli, tra i quali appare dominante la figura di Pulcinella come sintesi della cultura napoletana, nelle sue statue e statuine associato, e in qualche caso emblematicamente  con-fuso, con San Gennaro.

La conquista  del consenso e dell’ interesse dei ceti medio-alti come fruitori e come promotori ha contribuito alla crescita, in ceti sempre più vasti, della consapevolezza della natura della  Maschera, che era rimasta fino allora il privilegio della cultura intellettuale e della grande saggistica. 

La borghesia colta rivendica la dimensione europea  di Pulcinella, e riconosce la sua universalità intrinseca al suo carattere europeo; la cultura intellettuale influenzata dall’ antropologia gli riconosce un’ altra universalità, quella intrinseca alla sua natura di trickster, comune agli eroi comici presenti in tutti i popoli come una necessità della cultura. Attraverso le pratiche teatrali  queste teorie e rappresentazioni, che sono proprie dell’ ultimo mezzo secolo e non conoscono se non poche anticipazioni colte, si radicano sempre più en haut come en bas mettendo radici nell’ immaginario e nel linguaggio comuni, riproponendo in termini moderni l’ interclassismo culturale  dei secoli passati, liberato dal tradizionale rapporto paternalistico. Gli operatori del teatro di figura, oscillanti tra connivenze intellettuali e tendenze popolariste, con il loro cosmopolitismo minore hanno contribuito a questi processi di trasformazione, intensificando la loro antica vocazione alle erranze, trasformandole al tempo stesso  in costruzioni di relazioni culturali, scambi, collaborazioni tra i popoli vicini e più lontani. 

La Maschera di Pulcinella ha per quattro secoli dispiegato la sua esistenza in una molteplicità di generi e di forme culturali, quali: a) il folklore: il Carnevale, la letteratura popolare, la narrativa, la paremiologia, i canti, le filastrocche, l’ arte popolare, ecc.; b) la cultura semipopolare: la Commedia dell’ Arte, il Teatro delle Maschere, le pulcinellate (il teatro di Pulcinella), il teatro di figura (Burattini e marionette, il teatro dei pupi, le ombre cinesi), l’ arte  semipopolare; c) la cultura d’ élite:  l’ Opera, l’ Operetta, la pittura, la scultura, il disegno.  Inoltre, ieri come oggi, Pulcinella attraverso le forme teatrali ha espresso le migliori potenzialità della lingua napoletana e al tempo stesso ha esercitato una forte influenza su di essa, arricchendone le possibilità e le risorse espressive e  contribuendo alla sua diffusione fuori della Campania.

Il mondo di Pulcinella sin dalle sue origini è stato  una cultura di mezzo, un incrocio di esperienze, di saperi e di pratiche   di diversa estrazione sociale, tendenzialmente nomade (nonostante il suo forte e costante radicamento nella Campania) come Commedia dell’ Arte,  prima di diventare, dalla seconda metà del secolo XVIII, soprattutto regionale e campano come Teatro delle Maschere: un universo culturale dotato di relativa autonomia ma generosamente aperto verso la cultura d’ élite e quella subalterna e al tempo stesso curioso fino all’ assimilazione e critico fino alla parodia nei confronti delle culture altre. 

Pulcinella nel teatro e fuori di esso veicolava  una immagine di sé, che era sempre la stessa nelle sue connotazioni di fondo, pur assumendo  al tempo stesso elementi di diversità, nei linguaggi e nelle forme, a seconda della diversità generi, spesso legati a diversi gruppi sociali e generazionali  differenti: Pulcinella è stato, sin dal tempo della sua nascita, un prodotto interculturale.   

Oggi la Maschera afferisce a una molteplicità più ampia e complessa  di territori culturali e alle loro zone d’ interferenza. Sopravvivono gli stessi generi tradizionali, ma  si evolvono più celermente che in passato, modificano più profondamente i loro rapporti gerarchici, operano intense contaminazioni nei contenuti e nei linguaggi, si aprono a nuovi usi e significati. A queste novità si aggiungono fatti nuovi, che possiamo qualificare come  invenzioni, per la difficoltà di riconoscere in essi i rispettivi generi del passato: il cinema, il fumetto, la canzone moderna, l’ artigianato artistico: la cultura di massa e le nuove tecnologie multimediali entrano nel mondo della maschera, creando altre relazioni e nuove opposizioni, tra cultura di massa e folklore, tra tradizionale e innovativo, tra spontaneo e tecnologico, tra magico e terapeutico, laddove la dialettica di questo teatro attoriale e carnevalesco dei secoli precedenti  si esauriva nel rapporto/opposizione tra popolare e elitario, che trovava la sua composizione in quella sorta di terza cultura, sopra evocata, incarnata nel mondo semipopolare della Commedia dell’ arte e poi nel teatro napoletano delle Maschere.

Alla fine, quello che ancora cambia è la maniera di percepire questo nuovo Pulcinella. Oggi i Pulcinelli sono tanti, assai più che in passato: quello de filosofi, dei guarattellari, dell’ Operetta, degli artigiani, della plebe, della borghesia colta, della tradizione, dei filosofi, del cinema, dei fumetti, dell’ artigianato artistico, e così via. Ma le loro immagini radicate nella nostra contemporaneità sono tutte   il risultato di interazioni, mescolanze e ibridazioni di generi e di culture, ancora su un fondo comune. Ma questo fondo comune ai nostri giorni è sempre meno univoco. In questa proliferazione di rappresentazioni l’ immagine unitaria si compatta non tanto nella realtà, che rimane allo stato di un magma creativo in continua metamorfosi, quanto nell’ interiorità di ogni singola persona: ognuno trova a Napoli il suo Pulcinella.